STALKING. Il dolore, inascoltato, di due donne

Assisto una donna vittima di stalking la cui vicenda somiglia (troppo) a quella di Sara; penso a Irina e ai suoi quindici anni “diversi” e scrivo questa lettera provando a mettermi al posto di Irina e Sara.

Magari è solo un modo per cercare di stare in pace con la coscienza, come uomo e cittadino di un’Italia che si atteggia a nazione moderna, inclusiva e paritaria, mentre poi …

Gianfranco Castrogiovanni

“Mi chiamo Irina ed ho quindici anni, non so se qualcuno potrà avere voglia di leggerla, ma voglio raccontare la mia storia. Tutto comincia con un viaggio, in prima classe, al calduccio nel ventre di mia madre, Sara. Lei era fuori, sul gommone tra le onde, al freddo. Aveva deciso di farmi vedere l’Italia; lì saremmo state bene, io e lei.

In effetti fu così, venimmo accolte insieme ad altre ragazze in una casa, io andavo a scuola, mia madre iniziava a lavorare.

Mio padre … non so molto di lui; qualcuno aveva deciso che Sara doveva essere sua moglie, ma le cose non funzionarono, così lui restò dall’altra parte del mare. Mia madre conobbe un giovane e se ne innamorò. Neanche a lui era andata un gran che: aveva una figlia, ma con la moglie era finita.

Sara e Gianni andarono a vivere insieme e io, in un solo colpo mi ritrovai in una casa vera insieme a mia madre, con una sorellina un po’ più grande e, addirittura, un … padre; andavo a scuola, avevo delle amiche, proprio come tutti gli altri: ero diventata italiana!

Le sorprese non erano ancora finite, dopo qualche anno arrivò un’altra sorellina, Chiara: aveva davvero fatto bene Sara a decidere di passare il mare!

Certo, detta così sembra proprio una fiaba; eravamo una famiglia vera, si rideva e si tribolava, ci si abbracciava e si litigava … come tutti.

Piano piano, però, le cose cambiarono, Sara e Gianni non andavano più d’accordo, spesso litigavano, fino a quando – avevo quattordici anni – si lasciarono. Con la mamma e Chiara ci trasferimmo in un’altra casetta; Sara lavorava, come sempre, Gianni veniva a trovarci, aveva anche le chiavi di casa, magari sperava di ritornare insieme.

Non era così.

La mamma rideva sempre meno, il telefono squillava e lei rispondeva, ma di là non parlava nessuno; arrivavano messaggini, lei li leggeva e diventava scura in volto. Una volta, di nascosto, li ho letti: ho avuto paura, anche la mamma ha paura, lei che ha sfidato le onde del mare su un gommone per portarmi qui.

Sara ha cambiato numero telefonico, ma è stato inutile: i messaggi e le chiamate continuavano ad arrivare, anonimi.

Chi poteva essere?

No, lui no! Il padre di Chiara no! … mio padre no! … o forse si?

Un giorno sono spariti da casa diversi oggetti preziosi, anche i regali ricevuti per la prima Comunione da me e Chiara e altri ricordi della mamma; la serratura della porta d’ingresso era integra.

Qualche tempo prima l’auto della mamma era finita dal meccanico; lui disse che c’era dell’acqua nel serbatoio e i danni erano tali che conveniva acquistarne un’altra piuttosto che ripararla; poco dopo Sara trovò la nuova macchina con le gomme a terra: erano state squarciate con una lama.

Una mattina – le telefonate e gli sms continuavano ad arrivare – rientrando a casa dal lavoro, Sara ha sentito un forte odore di gas provenire dalla cucina. Aperte le finestre e chiamato il tecnico, si è capito che la perdita proveniva da un tubo in cucina: era stato bucato di proposito.

La fiaba era finita da tempo, la mamma faceva avanti e indietro dal Commissariato, Gianni la seguiva, si fermava vicino al posto di lavoro e la fissava: lei non rideva più. Poi un giorno la mamma è stata chiamata in Tribunale, si doveva decidere se processare Gianni, era accusato di stalking (per le telefonate, gli sms, le minacce e i pedinamenti), del furto dei preziosi, del danneggiamento dell’autovettura e del tubo del gas della cucina.

Lui sarà processato per lo stalking mentre è stato assolto per il tubo del gas. Mi hanno spiegato che l’accusa era solo di avere rotto quel tubo, che la legge è cambiata e dunque non si poteva processare. Mi hanno pure spiegato che Sara e il suo avvocato avevano chiesto che l’accusa venisse cambiata in tentato omicidio. Mi hanno spiegato che quella richiesta è stata respinta.

Loro mi hanno spiegato, ma io non ho capito, neanche Sara ha capito.

Neanche gli automobilisti che passavano da Via della Magliana a Roma mentre Sara bruciava – quell’altra Sara vittima del suo ex – avevano capito.

No, nessuno aveva capito, era solo un po’ geloso (quell’altro), gli sarebbe passata, Sara (quell’altra) avrebbe solo dovuto avere un po’ di pazienza, poi a lei sarebbero passate anche le bruciature. Invece no, Sara (quell’altra) è morta: nessuno aveva capito.

Sara, mia madre, è viva, ha paura e nessuno ha capito. Il tubo del gas è stato bucato … così, forse per gioco, o per spaventarla, ma lui è solo un po’ geloso, in fondo è un mite, non farebbe mai male a una mosca.

Forse, se esplodeva tutto – se Sara saltava per aria, magari insieme a me e Chiara e gli altri che abitano nella palazzina – qualcuno avrebbe capito … e allora via con le solite processioni di fiori, messaggi e disegni lasciati sotto casa, qualche lacrima, magari una bella fiaccolata, una emozionante predica in Chiesa, un grande applauso all’uscita del feretro e un bell’invito al perdono …

Non ho attraversato il mare per una fiaccolata, non voglio applausi, voglio vivere e voglio vedere invecchiare Sara e farò di tutto per proteggerla, come lei ha protetto me, tra le onde del mare.

Non posso essere certa che lui sia il responsabile di tutto quello che sta accadendo a me e alla mia famiglia, però … non posso più starmene zitta. Anche io ho fatto finta di non capire, quando lui mentre ero in discoteca con le amiche, lo scorso inverno, si è avvicinato e mi ha toccata.

È solo una pacca affettuosa, mi sono detta … neanche io volevo capire (proprio come quegli automobilisti che non hanno capito che Sara – quell’altra – stava bruciando). No, non era un gesto d’affetto, mi aveva toccato il sedere, di fronte alle mie amiche e ad un gruppo di ragazzi che erano con lui, e ridevano, ridevano di me e mi guardavano.

Le sento sempre quelle risate e quegli sguardi, facevano molto più rumore della musica, le sento ancora, al buio, quando sono sola. Vedo anche gli occhi confusi delle mie amiche e io che arrossisco e quasi mi sento in colpa. Ora ho capito, non è un gesto d’affetto, non c’è più niente di affettuoso in lui. Io non la lascio sola Sara, da adesso sto con lei sul gommone, fuori tra le onde”.

Irina


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