Peppino Impastato: la solitudine di essere normale

A Cinisi sono le elezioni comunali del 14 maggio 1978. Un giovane trentenne viene eletto con 264 voti nelle liste di Democrazia proletaria una piccola formazione dell’estrema sinistra. Peccato che non potrà mai esercitare la sua funzione, il suo incarico politico…

Del giovane neo eletto, infatti, non restano che i brandelli del suo corpo, trovati 5 giorni prima nei pressi della ferrovia Palermo-Trapani. A quei tempi, ma pensandoci bene anche tutt’oggi, in Sicilia e forse in tutto il nostro paese, diventava pesante come un macigno avere un passato, e soprattutto un presente, come il suo: di militante, di attivista, di oppositore, di portatore sano di ideali di rivoluzione e uguaglianza. I giornali di allora strumentalizzarono tutto ciò, all’indomani della sua morte raccontano di un Peppino che saltò in aria mentre preparava un attentato terroristico, dapprima, parlano di un Impastato che aveva voglia di farla finita con questa vita.

Gli occhi sono fatti per vedere, le orecchie per sentire, la bocca per parlare. Ma in Sicilia non funziona così! Quella notte fu semplicemente l’ultimo round della sua lotta, fu solamente l’ultimo grido inascoltato, fu inesorabilmente la prova che Peppino era solo e non aveva paura di esserlo stato per tutta la vita. La ferocia del burattinaio, “Tano seduto” come ironicamente lo chiamavano a Radio Out, prima di inscenare l’attentato, voleva che Impastato venisse ammazzato più volte, che si rendesse conto che davvero quella sarebbe stata la sua ultima notte, che soffrisse nella solitudine della sua Fiat 850.

Quei 264 voti, purtroppo, sono l’unico esempio di appoggio a Peppino in trent’anni. É vero che si trova il coraggio nell’anonimato della cabina elettorale, è vero si comincia a pensare dopo che ci scappa il morto. Ma sono pronto a scommettere che a Cinisi chiunque gli avesse parlato almeno una volta, incontrandolo per strada, gli avrebbe sicuramente detto: «Peppì ma chi minchia te lo fa fare?»

Ebbene, Peppino, in quei momenti, moriva ogni volta, come se le parole fossero una lama che gli trafiggeva il petto… era l’unico a Cinisi che denunciava la Mafia e l’unico che ebbe il coraggio di opporsi. Una persona scomoda perché era intelligente, perché aveva messo all’attenzione di tutti, grazie al suo microfono, la violenza, i ricatti, le ingiustizie di “Mafiopoli”, spezzando quell’omertà e quel rispetto che proteggeva quelli uomini di potere, quello stesso rispetto che portava la sua famiglia a quegli stessi uomini, e che lo costrinsero, in parte, ad isolarsi anche da questa.

Ah, ecco! rispondo io per Peppino e dico che ne valeva la pena anche se si è dovuto aspettare più di vent’anni per trovare i carnefici… Ora che è diventato un simbolo, quasi un eroe, grazie ai famosi “100 passi”, tutti lo conosciamo. Ma Peppino era semplicemente quello che avrebbe dovuto essere la normalità dentro ogni siciliano ma ahimè, per qualcuno tutt’oggi uno come Impastato resta ancora il diverso e il fuori posto.

 


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