Il terremoto nel centro Italia ci ha fatto ripensare a quando la terra si scosse anche da noi. Vi proponiamo un’inchiesta che ha poche certezze, ma nel frattempo lascia aperte tante domande.
Una limitata pericolosità sismica che si alza solo nei Comuni settentrionali e nella fascia di Comuni compresi nella faglia dei monti Nebrodi, particolarmente attiva fino a qualche anno fa. Questa la situazione dei territori della provincia di Enna riguardo la possibilità di terremoti. Raramente si è registrata una magnitudo superiore a 4.0 della scala Richter, soprattutto per l’assenza di importanti sistemi di faglia attivi. Da sottolineare, invece, la vulnerabilità generalizzata che riguarda dei fabbricati, dei centri storici, degli edifici pubblici in generale, che per la maggior parte sono stati realizzati quando le norme sismiche non erano ancora in vigore.
Il territorio di Nicosia ricade, insieme ad altri comuni, nei pressi della faglia dei monti Nebrodi, che tra il 2013 e il 2014 è stata caratterizzata da un forte sciame sismico. Nel novembre del 2009 e nel gennaio del 2013, gli eventi sismici più pericolosi con due scosse di magnitudo 4.2 della scala Richter la prima e 4.4 la seconda. L’area dove ricade la faglia, dal 2009, è stata interessata da movimenti tellurici ed è compresa tra Capizzi, Cerami e Troina nel versante orientale dei Nedrodi e nell’area a cavallo tra Nebrodi e Madonie nel versante occidentale. Nicosia, Sperlinga e Cerami si trovano tra i due distretti sismici.
Quella dei Nebrodi è una faglia storicamente tra le più attive in Sicilia. Il terremoto del 31 ottobre 1967, di magnitudo 5.9 della scala Richter, è da considerarsi tra le prime dieci scosse più forti dell’Isola. La scossa principale avvenne alle ore 21 con epicentro a Mistretta. Nei giorni seguenti, e fino oltre la metà di dicembre, furono avvertite numerose repliche che, seppure più leggere, aggravarono progressivamente le condizioni statiche degli edifici, causando nelle località più colpite un diffuso stato di inagibilità. A Nicosia quasi tutte le abitazioni furono lesionate e alcune dovettero essere demolite. Tra il 31 ottobre e il 9 novembre, furono avvertite 27 scosse. Nelle campagne invece, in contrada Valpetroso, si aprì una voragine della lunghezza di circa 200 metri e della profondità di oltre 20 metri. Un’altra frattura di oltre un chilometro di lunghezza e larga 20 centimetri si aprì nei monti circostanti Nicosia, in una zona interessata 4 anni prima da una vasta frana. Fu segnalato, tra l’altro, un aumento della capacità delle sorgenti di acqua potabile, da 5 metri cubi a 15 metri cubi al secondo. La strada statale 117 fu chiusa al traffico all’altezza di Mistretta per il pericolo di caduta di massi.
All’epoca non ci furono morti, ma come risulta anche dagli atti della Commissione parlamentare dell’epoca i danni furono enormi con oltre il 75% degli edifici distrutti o gravemente danneggiati. All’epoca le stime sommarie dei danni furono di 5 miliardi di vecchie lire a Nicosia e di un miliardo a Cerami, Comuni dove oltre l’80% degli immobili risultò danneggiato. La magnitudo di quel terremoto non fu pericolosamente alta come quella del centro Italia di questi giorni, ma gli edifici di oggi risulterebbero molto più resistenti anche se solo una minima parte risultano costruiti secondo le norme antisismiche.
Quel terremoto provocò gravi danni e conseguenze a tutto il popolo nicosiano. All’epoca furono trasmesse più di 300 ordinanze di sgombero degli edifici pericolanti a causa del sisma e il blocco di tutte le costruzioni edilizie. La mancanza di adeguati lavori pubblici aveva causato un grave e significativo esodo migratorio. A due anni dal sisma, chi aveva la casa rovinata o inagibile, non ricevette nessun contributo per il riattamento o la ricostruzione, e tanto meno il Comune si era prodigato a reperire aree edificabili a chi era rimasto senza casa. 1500 bracciati rimasero senza lavoro e tutti gli artigiani della città che non riuscivano a pagare neppure le tasse. La Dc che per anni aveva governato quasi indisturbata Nicosia fu travolta dallo scandalo, in particolare perché non furono rese note le somme destinate ai terremotati nicosiani e sui cui si fece un “uso politico” delle stesse. 800 pratiche dei terremotati restarono, per anni, sulle scrivanie degli uffici in attesa di essere istruite.
Dei 65 milioni di lire destinati alle case terremotate della Magnana per anni non se ne seppe più nulla. Dei 56 milioni concessi dalla Prefettura per il terremoto non fu mai presentata una rendicontazione. Questo scandalo culminò con l’arresto della presidente dell’Eca (Ente comunale d’assistenza), ente che all’epoca gestiva questo tipo di fondi. Non furono applicate le leggi a favore dei terremotati ma fu dato campo libero alle speculazioni di ogni genere. Per la cronaca alle elezioni del 1972 Nicolò Vanadia, fu rieletto primo cittadino nelle fila della Dc.
L’invito ad una riflessione è d’obbligo perché guardando al passato e conoscendo questa storia, probabilmente, non si commetterebbero gli stessi errori. Le gravi conseguenze di quel sisma, insieme alla mancata approvazione di un Piano regolatore adeguato allo sviluppo edilizio di Nicosia e ad una totale ignoranza sull’importanza del nostro patrimonio artistico culturale, lasciarono una cicatrice profonda sulla città, in parte rimarginata negli anni Novanta.
Ai nostri giorni una scossa di quel tipo non provocherebbe tutti quei danni sia perché gli edifici sono costruiti con materiali più resistenti, sia perché i recenti lavori sulle scuole, ad esempio, dovrebbero impedire la catastrofe. Ma un interrogativo sorge spontaneo, quanto sono sicure le scuole, gli edifici pubblici e abitazioni della città? Ad una scossa quanto resterebbe in piedi dei nostri quartieri storici? Quando si progettano le abitazioni i costruttori pensano alla sicurezza e all’utilizzo dei migliori materiali o al proprio portafoglio?
'NICOSIA. Quando il terremoto fu “cosa nostra”' has 1 comment
10 Settembre 2016 @ 13:55 pippo
io c’ero.