LOTTA ALLA MAFIA, ANTOCI E IL RUMORE DELLE PALLOTTOLE

Se qualcuno pensa che la mafia abbia abbandonato le intimidazioni e le pallottole per mandare avanti i propri interessi si sbaglia di grosso. Se qualcuno pensa che la mafia abbia accantonato l’uso delle violenza e non pensi più alle stragi, forse, dopo l’agguato di martedì notte, si dovrà ricredere. Giuseppe Antoci, il presidente del Parco dei Nebrodi, è l’ultimo di una corposa lista fatta di intimidazioni e minacce che negli anni forse non fa più rumore come ai tempi di Falcone e Borsellino. Ma le pallottole sparate nella notte fra il 17  e il 18 maggio tra Cesarò e San Fratello, quelle sì fanno rumore, sono le più gravi ed eclatanti degli ultimi anni. Chissà cosa si prova in quei momenti, quando la lamiera blindata dell’autovettura è l’unica cosa che ti separa dalla morte.

“Questa non è la terra dei boss, ma di noi siciliani, che dobbiamo lottare” così Antoci, dopo l’agguato, ribadisce la sua intenzione di continuare la lotta a questa mafia rurale, la sua voglia di coinvolgerci tutti a ribellarci e riprenderci ciò che è nostro.

Già, ma cos’è nostro? Ad esempio sono nostre quelle terre per cui tanto si preoccupano i mafiosi. Cosche dedite soprattutto all’abigeato ed al controllo delle truffe ai danni dell’Unione europea grazie appunto a quelle terre. Le inchieste di questi anni hanno portato alla luce i nomi di boss, affiliati e collegamenti tra una malavita divisa tra chi puntava ad aggiudicarsi gli appalti nel settore agricolo e zootecnico, e le “famiglie” legate al mondo agricolo vero e proprio, quelle radicate sul territorio. Queste in particolare sono molto ramificate tra Cesarò, la zona Nord della provincia di Enna e le zone a ridosso tra Maniace, Bronte e Randazzo.

La strategia delle famiglie mafiose, stando alle risultanze investigative, sarebbe quella di colpire chi sta lanciando un’offensiva seria contro la gestione malavitosa dei terreni agricoli. Un percorso lungo questo, già preso di mira con lettere e minacce mafiose. Un percorso avviato con la sottoscrizione del protocollo di legalità fra l’ente Parco dei Nebrodi e la Prefettura di Messina, con l’obbiettivo di sottrarre i terreni alle aziende mafiose, che hanno sempre agito indisturbate, controllando i fondi europei. Sulla base di questo protocollo d’intesa sono state tagliate fuori decine d’imprese collegate alla mafia e sottratti alle cosche circa 3 miliardi di euro. Si calcola che circa l’ottanta per cento della concessioni erano gestite da aziende con infiltrazioni mafiose.

Il Parco ha un’estensione di 86 mila ettari e comprende 24 Comuni.

La rottura era stata provocata nel 2005 quando Antoci diventò presidente, e ruppe quel “patto silenzioso” che andava avanti da decenni e consentiva l’utilizzo dei pascoli a canoni irrisori dei terreni demaniali. A questo cambiamento di rotta contribuisce anche il sindaco di Troina, Fabio Venezia, anche lui sotto scorta per le numerose minacce ricevute, quando decise di non concedere i 4.200 ettari di Troina alle “solite” condizioni.

Ma quali sono queste condizioni? A fronte di una spesa di 30 euro ad ettaro per un terreno pubblico destinato a pascolo, chi ottiene la concessione può usufruire di un contributo di circa 3 mila euro a ettaro. L’affare milionario permette alla mafia delle campagne di esercitare un enorme potere sul territorio, ovviamente tutto ciò non sarebbe possibile senza l’aiuto di chi amministra, dei burocrati, dei patronati e dei notai. Basti pensare che i terreni in concessione erano aggiudicati senza gara e senza verifiche sui concessionari.

La storia e gli interessi che ruotano intono ai terreni demaniali non deve sembrarci una cosa lontana dai nostri territori. Anche a Nicosia ci sono dei fili rossi che si deve fare attenzione a toccare. Ricordiamo la corona mortuaria fatta recapitare all’ex presidente della Silvo Pastorale di Nicosia Di Grazia, nel 2013, che aveva modificato i canoni d’affitto di una parte terreni pagati a prezzi irrisori dai concessionari.

Senza dubbio questi terreni sono una grande fonte di ricchezza ed essendo terreni demaniali pubblici, tutta la collettività dovrebbe trarre vantaggi da queste terre e dalle risorse che producono. Si tratta di mera utopia, anche quando la legge parla chiaro e nessuno la ascolta?  La cosa triste è che si porge l’orecchio solo quando scorre il sangue, che per fortuna martedì notte non ha macchiato ancora una volta questa Sicilia. Restano, questi sì, i buchi dell’autovettura di Antoci, ancora caldi, e la lotta di tanti come lui, che negli anni, senza proclami combattono veramente la mafia togliendole i miliardi che le servono per essere padrone incontrastato di questa terra.



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