Nelle aree galloitaliche, di cui fa parte Nicosia, a volte si riscontrano situazioni linguisticamente bizzarre che sfociano nella comicità. Ricordando l’immenso valore della nostra identità galloitalica e del patrimonio cultuale del nostro territorio, a volte, soprattutto tra la popolazione più anziana, calchi linguistici ed espressioni pseudo italianizzate strappano un sorriso. Ad esempio, provoca ilarità vedere la scena in cui, durante una processione, un’anziana donna dice ad un bambino: “gioia, ti spingo io”, causando il pianto del bimbo che, interpretando letteralmente le parole in italiano, la interpreta come una vera e propria minaccia di aggressione da parte dell’anziana, sebbene la signora volesse soltanto sollevarlo bonariamente per permettergli di vedere meglio il santo! Qui l’equivoco parte dal verbo “spengiö”, cioè “sollevare” e non “spingere”, che doveva essere tradotto con “ti sollevo io” anziché “ti spingo”.
Il numero di calchi linguistici del nicosiano è davvero vasto e, dato che negli ultimi anni i forestieri e stranieri residenti a Nicosia risultano in aumento, si moltiplicano anche le occasioni di equivoci linguistici con essi. Ad esempio, per uno straniero che sta imparando la lingua italiana, sentir dire “devo passare il pagliaccio (straccio) a terra” ricrea un’immagine circense in cui un clown viene strofinato sul pavimento, così come se un’anziana dice: “devo andare al piano”, suscita l’immagine di una performance al pianoforte e non di recarsi semplicemente al mercato! Il calco “piano” col significato di “mercato” nasce dalla parola nicosiana “chiàn” per cui lo scioglilingua nicosiano per antonomasia “gh’jè n’chian chin chin de màchene”, seppur agli stranieri possa sembrare cinese, significa semplicemente “il mercato è pieno di auto”.
Gli equivoci sorgono anche se uno straniero prova a imparare parole in nicosiano, ma non sa che anche soltanto pronunciare una vocale aperta o chiusa può cambiare totalmente il significato della frase, causando equivoci. Ad esempio la frase “scuagghjé a neo” fa pensare alla neve che si scioglie solo se la parola “neo” è pronunciata con la ë chiusa, mentre con la e aperta significa “un anello”, oltre ad “un neo”. Allo stesso modo, la parola “peo” significa “pelle” se la e viene pronunciata aperta, mentre con la ë chiusa significa “pelo”. Similmente, “beo” significa “bello” se pronunciato con la e aperta, mentre con la ë chiusa significa “bere/ bevo”. Lo stesso vale anche per la vocale o. Ad esempio, la frase “ghjè na fodda”, se pronunciata con la ö chiusa significa “c’è affollamento di gente”, mentre se pronunciata con la o aperta ha il significato di “c’è una donna pazza”!
Ancora più comiche sono le situazioni in cui un forestiero crede di aver capito il significato di un termine, ma incappa nella polisemia per cui per la stessa parola esistono diversi significati possibili. Ad esempio, la parola “cagna”, seppur appaia estremamente offensiva altrove, a Nicosia può essere usata anche per intendere una donna aggressiva (“ùe è na cagna!”: “oggi è nervosa!”) o addirittura per riferirsi alla noia, come nell’espressione “ghjù na cagna/ canazza!” (“sono molto annoiato/assonnato!).
Altre parole polisemiche del nicosiano sono:
- “ponta”: “punta”, “febbre”, verbo “puntare”, “appuntare”, “mirare”. “Me pontà u pé (il piede)/ a ddengua (la lingua): incespicare fisicamente o mentre ci si esprime verbalmente;
- “nùövö” significa sia “nuovo” che il numero 9;
- “a rasö”: (a distanza/ alla larga), che nulla a che fare con la stoffa o con il verbo “radere”, seppur la parola possa avere anche tali significati;
- “stirè”: “stirare”, ma anche “tirare”, in senso sia fisico che figurato;
- “mondö”: “sbuccio”, “mondo”, Sigismundo (uno dei nomi tipici di Nicosia, oggi poco comune);
- “a muzzicöë” sta per “a morsi”, mentre l’espressione “morso de coso!” ha una connotazione negativa, generalmente offensiva riferita a persone per sottolinearne il poco valore, come anche le esclamazioni “morsö dë scemö”/ “pezzö dë scemö”, in cui non ci si riferisce ai morsi;
- “a böccòë”: non solo “a bocconi”, ma anche “chino”, per cui per “chino” non si intende “pieno”, ma “chinato” come posizione della schiena che nulla a che fare non la sporcizia (‘nchinà”)!,
- “Na partida” può riferirsi sia ad una partita, ad esempio a carte o di calcio, che ad “alcune persone”, come ad esempio “na partida në dissenö dë scì!” (“alcuni ci hanno detto di sì”);
- l’esclazione “non ghjè badaë” sta a dire “non ci ho fatto caso”, oltre che “non ho fatto da balia” (ad un anziano o ad un bambino);
- l’espressione idiomatica “pigghié na gatta” in riferimento ad una sbornia e non all’atto di afferrare un felino;
- “currìa”: come in siciliano, è traducibile sia con “correva” che con “cintura”;
- “dda carosa è sciaquada”: una ragazza solare o in carne, ma senza riferimento all’atto di sciacquarsi;
- “nachèsë”: significa sia ancheggiare che affrettarsi, per cui se ad un forestiero (“rantòn”) viene detto “nàchëtë!”, lo stanno esortando a sbrigarsi e non a far oscillare i fianchi!
- Allo stesso modo, se sente “mùcciatë chë ghjè frèidö” deve coprirsi, sebbene questo sia uno dei termini polisemici più fuorvianti poiché viene spesso erroneamente tradotto: “nasconditi che fa freddo”, anziché “copriti”!
- Altra espressione pseudo italiana è “il bambino è noioso” in cui con l’aggettivo “noioso” si intende “infastidito, che piagnucola” e non “poco interessante, che provoca noia”.
- Allo stesso modo, dire di un uomo che è “tristö” si riferisce alla sua poca bontà e non alla tristezza, mentre, se riferito ad oggetti, denota la loro scarsa qualità.
- Dire “vërsé” significa “sistemare/ aggiustare” e non versare un liquido, mentre una ragazza “vërsada” denota una ragazza dedita alla casa.
- Il termine “carina” non è un aggettivo qualificativo legato alla bellezza, ma significa “schiena”;
- “onda” non ha attinenza con il mare, bensì significa “dove”.
Pur trovandoci in Sicilia, esistono anche termini che possono causare equivoci con gli altri siciliani Ad esempio dire ad un palermitano che a Nicosia mangiamo la picciòtta” darebbe una vaga idea di cannibalismo! Infatti, sebbene in siciliano significhi “ragazza”, a Nicosia fa invece riferimento ad uno dei piatti tipici (“la piciòta”, una sorta di polenta siciliana), mentre “ragazza” qui si traduce con “caròsa” o, in nicosiano arcaico, con “fantina”, a prescindere dal praticare o meno equitazione!
Al contrario, dire a Palermo che ci è arrivata “na stigghiola” non farebbe pensare ad una bolletta salata, ma solo alle budella d’agnello ripulite ed arrostite. Sempre in ambito culinario, a Nicosia, per designare persone poco utili e di scarsa intelligenza, si utilizzano “cardòn” (cardo) e “törtòn” (dolce di pasta fritta tipico del paese di Sperlinga). Es.: “ddu caröso è ‘n törtòn/ cardòn!” (“quel ragazzo è uno stupido, un buono a nulla!”). Allo stesso modo vengono usate: “è ‘n maccarròn” (senza alcun riferimento ai maccheroni), “è ‘n pezziddatö” (che designa anche il dolce nicosiano con ripieno di marmellata tipico delle festività natalizie), “è ‘n trössö” (senza riferimento al torsolo della lattuga), “è ‘n dindio” (letteralmente “è un tacchino”) e, più genericamente, “è nimaö!” (“è un animale, uno stupido!”). “’Na guastedda” invece, oltre alla “focaccia”, può riferirsi ad una donna particolarmente in carne.
E voi, avete termini galloitalici che vi strappano un sorrriso? Fatecelo sapere nei commenti o in privato! Grazie!
Marzia Marassà
'La Comicità del nicosiano' has 1 comment
29 Agosto 2023 @ 10:34 Pidone Graziella
Interessante e comicissimo articolo