La coddura o cuddhura tipico dolce siciliano

La coddura o cuddhura, è un tipico dolce siciliano, di derivazione ortodossa, che non può mancare nei menu di Pasqua. Tempo fa, durante il periodo della Quaresima, si osservava una grande moderazione alimentare, che escludeva dalle tavole carne, uova e formaggi, ma con l’arrivo della settimana santa le privazioni terminavano, e le uova erano un alimento particolarmente utilizzato per la preparazione dei dolci pasquali.
In Sicilia, il dolce di Pasqua più diffuso è ancora oggi la “cuddhura” o “coddura”, un grosso dolce di forma circolare, con incorporato un numero variabile, ma sempre dispari, di uova col guscio, che le giovani donne usavano regalare ai fidanzati nel giorno della Resurrezione.
Ma la forma della cuddura non è solo circolare: se ne preparano anche a forma di “campanaru” (campanile) per risuonare le campane al Cristo risorto, a forma di “panarieddu” (cestino) per augurare abbondanza, oppure di “gadduzzu” (galletto o colomba) per i ragazzi, di “pupa” (bambola) per le ragazze, e a “cuore” per i propri amati. Venite a scoprire altri curiosi e tradizionali dolci Pasqua!

Ingredienti per l’impasto

Zucchero 200 g

Strutto 200 g

Lievito per dolci 1 bustina

Uovo medie 5

Scorza di limone  da grattugiare 1

Farina 00 600

PER DECORARE

Codette colorate q.b.

Uova per spennellare 1

PER LA GLASSA

Album 1

Zucchero  circa 12 cucchiai

Preparazione

Come preparare la Cuddura cull’ova

Per preparare la cuddura cull’ova mettete la farina in un recipente capiente e mescolatela con lo zucchero e il lievito setacciato, quindi aggiungete lo strutto ammorbidito (o il burro) e la buccia grattugiata di un limone , aggiungete anche le uova e impastate

Lavorate molto bene l’impasto in modo da amalgamare bene gli ingredienti (potete usare anche il robot da cucina); la consistenza dell’impasto non sarà dura, anzi, risulterà abbastanza morbida Modellate la “cuddura” direttamente sulla carta forno, secondo i soggetti da voi scelti; un cuore, un cestino, una campana, una bambola, un galletto o una corolla intrecciata Sulla “cuddura” posizionate, con una leggera pressione sulla pasta, una o più uova col guscio (sempre in numero dispari) che bloccherete sul dolce con dei bastoncini di pasta a mo’ di croce . Adagiate la cuddura sulla leccarda del forno foderata con carta forno, spennellatela con dell’uovo sbattuto

e guarnitela con dei semi di papavero, sesamo o con degli zuccherini colorati

, e cuocetela a 180°-200° per circa 35-40 minuti, fino a quando diventerà dorata. Se volete glassare la vostra cuddura, infornatela senza spennellerla con l’uovo sbattuto, e preparate una glassa in questo modo: montate a neve un bianco d’uovo, aggiungete poi 10-12 cucchiai di zucchero semolato, un cucchiaio alla volta e lentamente, continuando a sbattere con lo sbattitore. Aggiungete poi poco alla volta uno o due cucchiai di succo di limone, sempre sbattendo; il composto deve risultare molto denso e staccarsi pesantemente dal cucchiaio. Appena sfornerete la cuddura, sulla stessa leccarda dove l’avete cotta, ricopritela con la glassa preparata  e cospargetela di zuccherini colorati , lasciatela raffreddare e poi buona degustazione!

Consiglio

Se volete, invece di preparare un’unica coddura, dividendo l’impasto in 4 parti uguali,
potrete sagomare 4 soggetti più piccoli, magari sbizzarrendovi nel preparare le diverse forme sopra menzionate. Ricordatevi sempre di mettere da parte un po’ di pasta per formare le croci che terranno ferme le uova che decorano le coddure.

Curiosita’

Il termine “cuddhura” deriva dal greco “Coulloura” col quale gli antichi greci indicavano particolari focacce offerte agli dei in cambio di favori e benevolenza, usanza che in epoca cristiana si rivolge ai fidanzati e non più agli dei pagani.
Le “coddhure” venivano portate in chiesa, la mattina del sabato santo, per la benedizione che, nella solennità della Resurrezione, risvegliava l’idea di fecondità consacrandone il valore.
Costituivano comunque un dono augurale: un tempo la “Zita” (la fidanzata) preparava la coddura a forma di cuore per il suo promesso, che ricambiava il dono con un dolce a forma di “agnidduzzu” (agnellino), e con questi gesti si celebrava la rinascita e la fertilità.


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