Covid 19 e vaccini – per capire la situazione andate a vedere “Lupin – nome in codice tarantola”

Forse questo non sarà un articolo ritenuto “degno” da certi depositari del sol Verbo giornalistico, ma forse, per meglio comprendere la situazione (comprendere, non stiamo dicendo che rispecchia la realtà) a volte i cartoni di infanzia e adolescenza possono tornare utili. Nello specifico parliamo di un mito assoluto quale Lupin III, ladro gentiluomo di cui tutti, almeno una volta nella vita, ne abbiamo sentito il nome (e se non proprio di lui, almeno abbiamo sentito il nome del nonno Arsenio Lupin). In questi giorni su una celebre piattaforma digitale, stanno dando i vari lungometraggi su Lupin III. Uno degli ultimi trasmessi è “Nome in codice tarantola” (conosciuto anche come Walther P38). La storia narra di una banda di assassini (la banda della Tarantola) confinata all’interno di un’isola sperduta. Questi assassini hanno tutti la stessa caratteristica di avere tatuato sulla mano una tarantola, non un semplice segno di riconoscimento a appartenenza alla setta, ma un vero e proprio veleno la cui azione viene inibita solo dai gas che fuoriescono dall’isola. Ogni volta che viene data una missione alla banda, gli assassini per poter uscire dall’isola hanno bisogno di una maschera speciale a tempo in cui gli viene fornito un quantitativo di gas utile a sopravvivere solo 24 ore. Inoltre l’isola è dall’alto protetta da un satellite nucleare che distrugge tutto ciò che prova ad entrare e uscire senza permesso e seguendo una rotta non prestabilita. La storia in cui poi subentra Lupin III è qualcosa che merita di essere visto e quindi lasciamo al lettore la curiosità di andare a vedere il lungometraggio. Sta di fatto che, ad un certo punto, anche a Lupin, fattosi catturare per un suo scopo ben preciso, fanno il tatuaggio a forma di tarantola. Per sfuggire, con tutto ciò che ne consegue, viene sintetizzato un antidoto che, primi ad utilizzare concretamente (nel senso che saranno i primi ad uscire dall’isola) sono lo stesso Lupin e una ragazza, cresciuta sin da bambina in quel posto. Nel film si mostra tutta la felicità della ragazza di poter tornare alla libertà e respirare aria pulita, un ritorno alla libertà che, seppur di breve durata (al termine del film, infatti, morirà), ne è valsa la pena vivere più di tutta la vita precedente. Le somiglianze, ovviamente, con la situazione odierna, sono parecchie. Siamo vincolati a vivere con una mascherina sempre indossata, isolati da tutti. Siamo delle isole. E non possiamo “uscire” o anche sol togliere la mascherina perché fuori rischiamo di morire a causa del Covid. Oggi è presente un vaccino, peraltro con dati che danno grande sicurezza. Al posto di lamentarci, dovremmo fiduciosi attendere il nostro turno perché quel vaccino che in questi giorni è stato iniettato a milioni di persone, ha ad oggi prodotto pochissimi effetti collaterali. Cosa sono pochissimi effetti collaterali dinnanzi alla libertà? Prendo una battuta nel film che la rendo plurale. “Abbiamo paura di essere liberi?” Domanda rivolta ad uno della banda degli assassini che non voleva lasciare l’isola. Anche a noi vien posta questa domanda? Ci fidiamo di troppe cose e non solleviamo dubbi su molti aspetti che minano ogni giorno la nostra salute, non da ultimo le recenti ricerche sul consumo di carne rossa, sull’utilizzo smodato del cellulare. Sappiamo anche bene, perché lo abbiamo provato e lo stiamo provando anche sulla nostra pelle, l’effetto deleterio nello stare confinati in casa. E allora perché tutto quest’astio nei confronti del vaccino? Perché tutti questi dubbi? Non diciamo che i dubbi non debbano sorgere, ma che siano dubbi legittimi e non calati in insulse ricerche di peli nell’uovo. D’altronde, come il vaccino ha i suoi effetti collaterali, anche lo stare a casa può provocare incidenti domestici. Ma quanto è bello ritrovare la libertà? Quanto è bello poter ritornare a respirare? Quanto è bello poter ritornare in piazza a rivedere gli amici. Che poi, se gli effetti collaterali si mostreranno tra qualche anno, meglio aver vissuto poco e liberamente e pienamente, che aver vissuto schiavi, reclusi in una casa in attesa di cambiare domicilio in un’altra casa sottoterra.

Alain Calò


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