Nicosia, la nobile cittadina situata nel cuore della Sicilia, fu immensamente lodata nel passato, ma troppo spesso dimenticata oggigiorno nel panorama nazionale. Merita decisamente di essere encomiata e lo faremo oggi, partendo dal mio componimento poetico dal titolo Nicosia, nobile dama, per raccontare l’identità di Nicosia non solo a chi non la conosce, ma anche ai suoi abitanti, che a volte non sono a conoscenza di alcuni particolari interessanti che riguardano la loro città. Grazie al preziosissimo aiuto del dottor Giovanni D’Urso, uno dei maggiori esperti sul tema, analizzeremo le origini di Nicosia e la sua evoluzione storico-antropologica.
La mia poesia offre un’analisi di Nicosia da diversi punti di vista: etimologico, artistico-culturale, gastronomico, religioso, folcroristico, linguistico ed, appunto, storico-antropologico. Essendo composta da ben 251 versi, viene qui suddivisa in otto parti tematiche, di cui in quest’articolo analizzeremo solo la prima parte.
Nicosia cara,
“Città di San Nicola”,
“Engio”, “Èrbita”, “Imachara”.
Con un nodo in gola,
tornar da te io volli
per riviverti ancora.
Eretta su quattro colli,
sei tu la mia dimora.
Fosti terra di stranieri:
bizantini, arabi e normanni
lungo i tuoi sentieri
andarono per anni.
Diversi popoli tra i miei avi,
qui si unì molta gente,
con essi prosperavi
e vivevi placidamente.
Molte le dominazioni
che ottennero la pace
con le loro azioni.
Ne fu subito capace
il conte d’Altavilla,
al contrario con gli Angiò
si accese la scintilla
e la rivolta divampò.
L’encomio a Nicosia inizia con un’analisi etimologica del suo nome. Nonostante l’evidente omonimìa tra la nostra città e la capitale dell’isola di Cipro, in realtà il collegamento tra i due toponimi risulta nullo, se non nella favola narrata dallo scrittore Bartolomeo Provenzale secondo cui un principe di nome Nicola fuggì in Sicilia con la figlia del re di Cipro, di nome Isìa, e qui fondò la città “nuova Èrbita”, che chiamò “NICO-SIA” dalla crasi dei loro due nomi, appunto Nicola ed Isìa.
Al di là della favola, però, l’ipotesi della derivazione del nome della nostra città da quello della capitale cipriota è infondata poiché il nome di quest’ultima anticamente non era Nicosia, bensì Ledra! Il nome della nostra città, invece, già in epoca araba era Niqusìn. Prima ancora, i sicani usavano la parola “Nikuscìa” per designare il territorio in cui scorreva il fiume Salso, unendo la parola “Niku” (“fiume”) alla parola “scìa” (“terra”).
Tuttavia, tra le ipotesi sull’origine di questo nome, abitualmente vengono annoverate: “città di San Nicola”, “Èngio”, “Èrbita” ed “Imachara”. Riguardo alla prima ipotesi, il culto di San Nicola di Bari fu portato a Nicosia successivamente, cioè durante il papato di Leone II, quando alcuni monaci si insediarono nelle grotte rupestri di Nicosia per difendersi dagli arabi. Nel XII secolo, gli fu dedicata la cattedrale ed egli fu unico patrono di Nicosia fino al 2001, quando gli fu affiancato come compatrono il nicosiano San Felice.
Sulla localizzazione delle antiche città di “Èngio”, “Èrbita” ed “Imachara” vi sono ancor oggi dibattiti tra studiosi. Èngio, per assonanza, si è sempre localizzata nel territorio di Gangi, nello specifico nella zona del monte Alburchìa e di Gangivecchio, ma di recente tale ipotesi fu smentita poiché Gangi risulta essere di epoca successiva rispetto all’antica Engio. Essa fu, invece, identificata in una porzione di territorio di Nicosia, come testimoniato dalla descrizione dell’agirino Diodoro Siculo, per cui Engio era “una città cretese edificata su un monte con ai piedi un fiume e si trovava a 20 km da Agira”. Tale descrizione coincide con il monte Altesina di Nicosia.
Il monte Alburchìa corrisponderebbe, invece, ad Èrbita. Lo storico Barbato affermò che Èrbita è un termine punico che significa “monte sicuro”. Sebbene alcuni studiosi vedano nessi tra la città di Èrbita e Nicosia, per confutare la loro tesi, bisogna sapere che Cicerone disse che Èrbita era visibile da Enna, quindi la sua descrizione non può coincidere con Nicosia, bensì con il suddetto monte di Gangi.
Infine, Imachara sarebbe invece corrispondente all’attuale contrada Vaccarra di Nicosia, sebbene si localizzi anche a Troina e addirittura a Mirabella Imbàccari. Quest’ultima ipotesi sorge dall’evidente assonanza tra i due toponimi “Imachara” e appunto “Imbàccari”, ma in realtà è da considerarsi errata, come dimostrato da diversi studi. La fonte storica della localizzazione di Imachara in contrada Vaccarra a Nicosia si deve ad Al Idrisi, geografo arabo del conte Ruggero, il quale descrisse Imachara come “città sicula che si trovava a 10 miglia da Sperlinga”, proprio dove si trovano la contrada Vaccarra e i Casaleni inferiori di Nicosia.
All’analisi etimologica segue un accenno geografico, che in questa prima parte della poesia è rapido e si limita soltanto a dire che Nicosia sorge su 4 colli. Essi sono: il colle del castello, il colle dei cappuccini, il monte Oliveto ed il monte del Santissimo Salvatore. In articoli successivi, ci soffermeremo maggiormente sul territorio nicosiano e sulla sua toponomastica.
L’accenno storico, invece, qui riguarda i popoli che hanno abitato Nicosia, nello specifico bizantini, arabi e normanni. Viene citato il normanno conte Ruggero d’Altavilla, che fu colui che nel 1062 conquistò Nicosia e, successivamente, la ripopolò di genti lombarde. Da questo incontro tra i nicosiani e i popoli lombardi, sorse il tuttora parlato dialetto gallo-italico, derivato dalla Bassa Savoia francese. Attenzione, però, all’aggettivo “lombardi” poiché non dobbiamo intenderlo come “popoli dell’odierna Lombardia”, bensì cone liguri e piemontesi, appartenenti cioè all’antico territorio di Monferrato.
Infine, la rivolta a cui si allude è quella dei vespri del 1282, scoppiata contro Carlo D’Angiò, il quale aveva punito i siciliani per aver dimostrato un eccessivo attaccamento agli svevi. Tale attaccamento, per i nicosiani, derivava dal prestigio che questi sovrani avevano conferito a Nicosia, soprattutto quando Federico II aveva premiato la fedeltà di Nicosia donandole i feudi di Petra d’Asgot. Durante la rivolta dei vespri, i nicosiani e quasi tutti i siciliani combatterono contro gli Angiò, mentre gli sperlinghesi furono gli unici a portare viveri agli Angiò, rifugiatisi al castello di Sperlinga. Da questo episodio, sorse la frase “Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit” (“ciò che piacque ai siciliani, solo a Sperlinga non piacque”).
Per ragioni poetiche, non sono citate nella poesia tutte le dominazioni che si susseguirono nel territorio nicosiano dopo i francesi, ovvero quella: aragonese, castigliana, asbrurgica (con Carlo V), sabaduda, austriaca e borbonica.
I Borboni in Sicilia giunsero nel 1734, quando Carlo II la sottrasse agli austriaci. All’inizio la Sicilia conservava la sua autonomia ed il suo Parlamento, ma poi, dopo il Congresso di Vienna (1815), la capitale del “Regno delle due Sicilie” divenne Napoli e, così, la Sicilia perse importanza. I siciliani si ribellarono più volte ai Borboni con dei moti popolari. A re Ferdinando Borbone fu persino dato l’appellativo di “re bomba” quando nel 1848 bombardò Messina. Tali rivolte nel 1848 sfociarono nella rivoluzione siciliana che portò alla proclamazione di un nuovo Regno di Sicilia indipendente, che durò meno di un anno, finendo però ancora una volta con la riconquista borbonica.
Ai moti del 1848 presero parte due nicosiani: il prete Venuta e l’oculista Bruno. Il primo, per scappare dai Borboni, dovette emigrare in America, mentre il secondo fu deputato al parlamento d’Italia dopo l’impresa dei Mille. Essa, del 1860, sancì l’iniziò del governo dittatoriale di Garibaldi che portò alla successiva annessione della Sicilia al regno d’Italia. La Sicilia fu parte dei domini dei Savoia finché Carlo VI ne prese possesso, cedendo in cambio la Sardegna. Nei primi anni dell’unità d’Italia si acuirono i problemi sociali e le tensioni porteranno ai Fasci siciliani.
Nel 1926, la scelta del governo Mussolini di decretare Enna come provincia al posto di Nicosia, determinò il declino della nostra città, che era sempre stata provincia sin da quando le province venivano denominate “comarche”, poi “capoluoghi” (dopo il Congresso di Vienna), “capocircondari” ed infine “capoluoghi di distretto”.
Nonostante la progressiva perdita di importanza di Nicosia sul piano regionale, oggi viene ricordata per le sue antiche tradizioni e per le bellezze artistiche che conserva, di cui parleremo nel prossimo articolo di Alla scoperta di Nicosia!
Ph: Roberto Fiscella
Marzia Marassà
'Alla scoperta di Nicosia di Marzia Marassà' has 1 comment
17 Maggio 2021 @ 10:17 Rossana Rosa
Complimenti per l’articolo! Si nota l’amore e la passione per il proprio territorio. Bravissima, Marzia!