Alla scoperta di Nicosia di Marzia Marassà

Come negli articoli precedenti di “Alla scoperta di Nicosia”, osserviamo questa splendida cittadina da vari punti di vista. Sinora, abbiamo trattato l’etimologia del suo nome, la sua storia e un accenno sugli artisti che a Nicosia lasciarono pregevoli opere, con particolare riferimento ai pittori nicosiani. Adesso esaminiamo Nicosia, oltre che dal punto di vista artistico e architettonico, anche dal punto di vista antropologico, trattando la questione della secolare rivalità tra il quartiere di Santa Maria Maggiore e quello di San Nicolò. Ecco di seguito la terza parte del mio componimento poetico dal titolo Nicosia, nobile dama.

La gente stupefatta
veniva da ogni dove,
dalla bellezza attratta,
che non si vede altrove.
Statue così vere
che appaiono reali
sembrano dolere
dell’umanità i mali.
La basilica, con la famosa cona
di prezioso marmo bianco
da sempre ci emoziona
e trova al suo fianco
il trono di Carlo V imperatore,
di legno finemente intarsiato,
ed il Cristo, che ha il suo competitore
in cattedrale, ove il soffitto ligneo è decorato
con immagini di vita sacra e profana
ed un gran alfabeto.
È arte policroma siciliana
che ogni uomo rende lieto.
La sua torre campanaria
la rende assai nota
per una visita saltuaria
anche da gente non devota;
si scorge da una terrazza
e dai più alti balconi,
a cui si cela la bella piazza
e la sua fontana con i leoni.
Attorno ad essa da cornice fanno
il municipio e i palazzi baronali.

Questa terza parte del componimento si apre accennando a “statue così vere che appaiono reali, che sembrano dolere dell’umanità i mali”, in riferimento ai due crocefissi, ossia il Padre della Misericordia, opera di carta pesta dello scultore nicosiano Vincenzo Calamaro, ed il Padre della Provvidenza, attribuito a fra’ Umile da Petralia, ma probabilmente opera di scultori nicosiani. Entrambi i crocefissi sono dotati di grande espressività e pathos. In occasione del venerdì santo, la secolare rivalità tra mariani (cioè gli appartenenti al quartiere di Santa Maria Maggiore) e nicoleti (cioè gli appartenenti al quartiere di San Nicolò) sfociava in litigio per la supremazia tra i due crocefissi. I mariani portavano in processione il crocefisso del Padre della Misericordia, mentre i nicoleti portavano quello del Padre della Provvidenza. Da ciò nacque l’appellativo di “città dei due Cristi” per designare Nicosia, ed il mio verso “il Cristo (della basilica di Santa Maria Maggiore) ha il suo competitore in cattedrale (di San Nicola)”.

Dal 1954, finalmente, le processioni del venerdì santo furono separate. Il crocefisso del Padre della Misericordia, infatti, oggi è portato in processione il terzo venerdì di novembre, mentre in occasione del venerdì santo viene portato in processione quello del Padre della Provvidenza. I nicosiani sono profondamente devoti a questo crocefisso e nel 1626 gli attribuirono il merito di aver liberato Nicosia dalla peste.

La rivalità fra le due fazioni, in passato, da religiosa si faceva violenta, sfociando persino in spargimenti di sangue in località Serra, denominata poi “Serra Battaglia”! La causa della rivalità è da rintracciarsi nell’identità culturale delle due fazioni: i mariani erano gli immigrati settentrionali che utilizzavano il rito latino, mentre i nicoleti erano gli autoctoni che utilizzavano ancora il rito greco. Tali differenze portarono ad un clima di lotta perenne e, specialmente tra i giovani, vi era molta competizione, tanto che se un appartenemente ad uno dei due quartieri andava nel quartiere “nemico”, egli veniva fermato per strada e duramente esortato a dire “viva Santa Maria!” nel caso in cui il fermato appartenesse al quartiere di San Nicolò, e viceversa.
In riferimento a tale competizione, come avvertimento per i nicoleti che si appropinquavano al quartiere di Santa Maria Maggiore, in via Diego Ansaldi n. 7/9, è possibile leggere l’emistichio “VIRESCIT VULNERE VIRTUS” (“Per la ferita si accresce il valore”), citazione letteraria di un qualche erudito del tempo (1653), usata come mònito per i nicoleti, i quali avevano offeso i mariani. Il professor Salvatore Trovato, nel suo libro “Saggi di toponomastica nicosiana” del 1997, vede una correlazione tra la suddetta frase ed il proverbio dialettale “chi tira primö tira ncaddandö, chi tira secöndö tira ciangëndö”, traducibile in “chi tira per primo colpisce esitando, chi tira per secondo (cioè chi risponde all’attacco ricevuto, in questo caso i mariani) colpisce piangendo”, ossia con la rabbia ed il dolore della ferita.
Evitando dilungamenti nella descrizione di queste due bellissime chiese, accenniamo solo qualche curiosità, che magari neanche gli abitanti di Nicosia conoscono. La basilica di Santa Maria Maggiore, che originariamente era chiamata “Santa Maria della Scala” per la sua scala d’accesso, non era ubicata dove si trova oggi, bensì sul “piano dell’orologio”, dove si può ancora ammirare la torre campanaria della chiesa originaria.
Sorse probabilmente nel periodo tardo bizantino come piccola cappella e fu poi usata come moschea nel periodo arabo. Il rito latino, infatti, iniziò ad essere usato soltanto nel periodo normanno, con l’arrivo del conte Ruggero d’Altavilla (il quale la inserì nella diocesi di Troina) e delle genti “lombarde” (provenienti dal territorio di Monferrato, in Piemonte, e dall’entroterra ligure, di cui approfondiremo nell’articolo dedicato al dialetto gallo-italico).
La chiesetta originaria fu ingrandita durante i contrasti tra mariani e nicoleti e fu completata nel 1454, ma successivamente, a tre secoli di distanza, crollò a causa di una frana verificatasi in zona della “lavanca”, cioè sotto al piano dell’orologio, notoriamente instabile dal punto di vista idrogeologico a causa delle rocce di natura arenaria. Nel 1757 la frana trascinò a valle oltre 400 case, palazzi baronali e diverse chiese (di San Martino, San Rocco, San Giuliano, San Giacomo e Santa Margherita), tra cui proprio quella di Santa Maria Maggiore. In attesa della ricostruzione, la collegiata di Santa Maria Maggiore fu accorpata a quella di San Nicola, ma i mariani rivolevano a tutti i costi la loro chiesa! Pertanto, su sollecitazione di Ferdinando II di Borbone, dopo dieci anni di attesa, ebbero inizio i lavori di edificazione della nuova chiesa in una zona più in alto (ossia dove si trova oggi), lavori che si conclusero soltanto nel 1904!
La parte superiore della facciata rimase incompleta (si dice, in memoria dell’antica chiesa!) e, sebbene nel progetto fosse previsto un campanile, esso non fu mai inserito. All’esterno, il prospetto principale è arricchito da un meraviglioso portale tardo barocco finemente scolpito, donato dal barone La Via di Sant’Agrippina (che lo aveva salvato dalla frana che, nel 1757, spazzò via il suo palazzo), con le statue pagane: del dio dei venti Eolo, della dea Cerere con in mano una foglia di palma, della dea dell’amore Venere con Cupido munito di arco, e persino del dio del vino Bacco!

Alla basilica si accede mediante due ingressi minori, denominati “porta del giubileo” e “porta della congregazione dei nobili del Monte della Pietà”.

Al suo interno, sull’altare neoclassico si ammira l’affresco (dell’artista Ettore Ximenes) che ritrae il momento della consacrazione avvenuta nel 1904. In tale affresco molti nicosiani riconoscono i loro avi, assieme al vescovo Ferninando Fiandaca e al sindaco di allora, Giovanni Cirino.
Nella moltitudine di opere pregevoli, spiccano la preziosa cona di marmo bianco dello scultore Antonello Gagini (di cui abbiamo parlato nel precedente articolo di “Alla scoperta di Nicosia”) e la sedia di Carlo V, realizzata in legno di rovere nero nel 1518 e restaurata nel 1644 da Stefano Li Volsi, figlio del celebre artista Giambattista Li Volsi. L’imperatore vi si sedette in occasione della sua visita a Nicosia, nel 1535, tornato dall’Africa dopo aver espugnato Tunisi. Dietro alla sedia di Carlo V, como simbolo della vittoria del Cristianesimo sugli arabi, è posizionata la scultura dell’aquila che artiglia un moro. L’aquila è raffigurata anche in uno stendardo di damasco rosso, collocato in sacrestìa insieme allo stemma aragonese.
Alcuni ornamenti della basilica vennero realizzati nel novecento dal catanese Carmelo Guglielmino, mentre numerose opere artistiche appartenevano alle altre chiese spazzate via dalla frana, come: il portale, il polittico di marmo del presbitero (ossia la struttura composta da più elementi giustapposti) e la Madonna con Bambino di marmo.
Scendendo dal quartiere di Santa Maria Maggiore, si giunge in piazza Garibaldi, definita come una delle più belle piazze della Sicilia dallo scrittore racalmutese Leonardo Sciascia. Iconica è la sua fontana ottocentesca in stile neoclassico, con leoni e putti da cui, nel 2019, è finalmente tornata a sgorgare l’acqua dopo 15 anni. Tale fontana fu installata a Nicosia ad opera del principino di Reburdone da Catania nei primi dell’ottocento, ma attorno al 1930 fu asportata e, poi, ricollocata solo nel 1997.
Alla piazza Garibaldi fanno da cornice il municipio ed i palazzi baronali, ossia: palazzo Marrocco e palazzo Di Falco, entrambi in stile neoclassico, palazzo Nicosia, in stile liberty, e palazzo La Via. Dietro alla cattedrale, si trova il palazzo La Motta di San Silvestro ed il palazzo vescovile, che prosegue posteriormente nella cosidetta “pescherìa”. Sulla bellissima piazza si affaccia la maestosa cattedrale di San Nicola.

Essa fu costruita nel XII secolo, ma originariamente era soltanto una cappella, poi ampliata intorno al 1340 e completata nel 1455. Per divenire cattedrale bisognò poi attendere quasi 500 anni! Infatti, essa fu eretta cattedrale solo nel 1817 e, successivamente, consacrata nel 1856. La sua bellezza è degna di nota, tanto all’interno quanto all’esterno, e, con la sua cuspide, è una delle immagini più iconografiche della città di Nicosia, unitamente alla fontana con i leoni di piazza Garibaldi.
All’esterno, il portico protorinascimentale, terminato nel 1490, è composto da sei arcate a sesto acuto. Sul frontone (restaurato) sono raffigurate delle teste, lo stemma aragonese e quello di Nicosia, a cui furono aggiunte successivamente l’icona di San Nicola e due lapidi. La torre campanaria, eretta su tre piani, è alta circa 40 metri ed ogni piano risale ad un’epoca differente: il primo piano era probabilmente di origine araba, il secondo risale alla fine del trecento, mentre il terzo termina con la cuspide secentesca che, distrutta da un fulmine il 23 giugno 1962 e ricostruita (solo nel recente 2017) di un solo colore, originariamente era invece decorata con maioliche policrome.

Si narra che la cuspide, crollando, colpì l’automobile di un tassista di nome Sasà Bellina, successivamente emigrato in Toscana (a Monsummano Terme, sede di moltissime famiglie nicosiane) e che, per aiutarlo, moltissimi nicosiani parteciparono ad una colletta, ognuno secondo le proprie possibilità, che gli permise di comprare un’altra auto con cui continuare a lavorare.
Sulle absidi della cattedrale si scorgono gli antichi pesi e le misure. L’ingresso principale della cattedrale, invece, è ornamentato con perle, punte di diamante, foglie d’acanto e funi attorcigliate, a cui (in periodo barocco) furono aggiunte le statue delle quattro Virtù Cardinali, delle quali una (la Fortezza) si spezzò. I capitelli raffigurano angeli danzanti e uccelli nell’atto di volare tra le foglie.
Il valore della cattedrale viene accresciuto dal suo soffitto ligneo a capriate dipinte, unico in Europa, decorato con “immagini di vita sacra e profana ed un alfabeto colorato”. Le decorazioni, dai colori accesi, raffigurano: cardinali e pontefici, dame e cavalieri, duellanti, animali selvatici, fiori, arabeschi, un alfabeto, ecc. Il soffitto, di autore ignoto, risale al primo ‘400 ed è una preziosa e rara testimonianza del tardo-gotico siciliano e meridionale, sintesi perfetta delle culture sicula, araba, ispanica con il gotico internazionale. Fino all’ottocento (quando fu dichiarata cattedrale), la copertura dell’edificio era rappresentata da tale soffitto. Oggi, invece, è possibile accedervi mediante una scala di ferro e una scaletta di pietra collocata all’interno del campanile.
Internamente, tra le molte opere pregevoli, degne di nota sono il fonte battesimale di Antonello Gagini, la statua di San Nicolò, sull’altare omonimo, e l’altare del Santissimo Sacramento in pregiati marmi policromi. Sulla destra troviamo l’altare del Padre della Provvidenza, simbolo delle rivalità con la basilica di Santa Maria Maggiore. In fondo, troviamo invece la cappella dei baroni di Nicosia.
Auspicando che anche questo articolo vi sia piaciuto, vi do appuntamento al prossimo, in cui si sveleremo le leggende che avvolgono il castello di Nicosia.

Ph: Eugenio Li Volsi e Roberto Fiscella.

Marzia Marassà


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