La rubrica “Alla scoperta di Nicosia”, palesando il profondo legame con la terra d’origine, nasce dal desiderio di valorizzare il proprio territorio per dar lustro ad una terra che ha tanto da offrire e da mostrare ai suoi figli ed ai turisti, che molte volte, purtroppo, non sono a conoscenza dell’immenso valore artistico-culturale di Nicosia, ma che poi ne restano piacevolmente colpiti una volta giunti qui per ammirarne la bellezza. Gli articoli pubblicati sino ad ora hanno affascinato non pochi lettori attraverso la scoperta del patrimonio artistico (ad esempio del soffitto ligneo medievale, unico in Europa, in cattedrale), del valore architettonico e storico-culturale (ad esempio dei palazzi baronali), delle antiche tradizioni riportate in auge (come la Casazza con copione ottocentesco in rima) e dell’ilarità delle feste (ad esempio nel quartiere di San Michele con l’albero della cuccagna, ecc.).
Ogni articolo pubblicato è esplicativo di una porzione di testo del mio componimento poetico “Nicosia, nobile dama” in rima alternata, diviso in 9 parti tematiche. Quest’ultimo articolo è ispirato alla straordinaria peculiarità sorta a Nicosia “casualmente” solo dopo che il frate cappuccino Felice da Nicosia fu riconosciuto santo: di colpo sull’enorme roccia del castello apparve il suo viso, perfettamente identificabile con la sua lunga barba da frate cappuccino. Ecco di seguito la porzione di testo interessata, in cui si narra della vita del santo:
A San Nicola, da sempre patrono,
molto tempo dopo
si aggiunse un uomo buono
che solo ebbe lo scopo
di aiutar la gente
ed, in particolare,
chi era meno abbiente.
Fu presto popolare
per realizzar miracoli,
guarire le persone
e superare ostacoli.
Diffuse son le sue icone
con la barba da cappuccino,
portate a cavallo a Tusa
da ogni pellegrino
per cui non è conclusa
la memoria di questo frate
da loro celebrato a Maggio e Agosto
per varie giornate
e perennemente esposto.
“Sia per l’amor di Dio”
fu la sua frase ricorrente,
non può cadere nell’oblìo
finchè resta nella mente.
Filippo Giacomo Amoroso
fu il nome con cui nacque,
poi di Dio fu lo sposo
e come San Felice giacque.
Bizzarra la sua sorte:
egli non fu detto santo
subito dopo la sua morte,
di tempo ne passò tanto,
poi finalmente fu deciso
e su una roccia dove nulla vi era,
un giorno apparve il suo viso
ed è visibile ogni sera.
Mia cara Nicosia, tu hai tanto da mostrare
e, affinché ti conoscano in tanti,
le tue lodi voglio cantare
agli stranieri e ai passanti.
Come una bellissima dama,
sei aggraziata ed elegante
e meriti lodi e fama
anche quando son distante.
San Felice di Nicosia è compatrono di Nicosia, assieme a San Nicola di Bari, solo dal 2001 (per la precisione, il 18 luglio del 2001 la “Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti” ha confermato il decreto che era stato emesso, il 31 maggio dello stesso anno, da monsignor Salvatore Pappalardo. Tale decreto fu poi proclamato il 2 settembre, riconoscendo il Beato Felice come compatrono di Nicosia. Egli fu poi canonizzato nel 2005 da papa Benedetto XVI, ma non tutti sanno che era stato beatificato nel lontano 1888 da papa Leone XIII.
Come accennato, appena fu dichiarato santo, accadde un evento molto particolare: sull’enorme roccia su cui poggia il castello, apparve il suo viso. Esso è ben visibile ogni sera all’imbrunire poiché illuminato dai lampioni, pertanto, per alcuni scettici il viso venne creato da un sapiente gioco di luci, per altri è invece un vero e proprio miracolo! Non sta a noi convincere gli scettici, ma abbiamo la testimonianza diretta di chi collocò quei faretti (un fabbro ed un elettricista comunale) e dimostrano che non erano affatto a conoscenza del gioco di luci poiché i lavori furono, ovviamente, compiuti di giorno e non al buio, per cui non sarebbe stato possibile ricreare un viso di dimensioni colossali utilizzando un effetto ottico! In questa sede, giacché tale rubrica verte alla promozione territoriale, ci limitiamo ad esortarli a riflettere sul fatto che un fenomeno così straordinarario altrove avrebbe già trasformato la città in affollata meta di pellegrini, come ad esempio accade in Puglia per San Pio.
A San Felice da Nicosia si attribuiscono miracoli certificati, esaminati da una commissione scientifica, avvenuti dopo la sua morte, ma anche mentre era in vita. Al di là di episodici casi di bilocazione e levitazione, tra i suoi miracoli in vita ricordiamo l’episodio più lampante (rimasto come modo di dire popolare per descrivere azioni impossibili) di quando, per offrire da bere al viceré di Sicilia (il duca Eustachio di Viefuille), il nostro frate cappuccino riuscì a prendere l’acqua dal pozzo usando un paniere senza che l’acqua fuoriuscisse dai forellini, proprio come gli aveva ordinato il suo superiore per prendersi gioco di lui, incredulo poi nel vedere l’incarico compiuto al di là di ogni spiegazione scientifica e di ogni pensiero razionale. Un altro episodio miracoloso, sempre derivato dai maltrattamenti pubblici che subiva da padre Macario, fu la trasformazione della cenere in ricotta, proprio ciò che gli fu detto di distribuire ai frati obbligandolo a vestirsi da pagliaccio per ridicolizzarlo davanti a tutti.
Anche al di fuori del convento operava prodigi, ad esempio quello di accendere una lampada con la forza del pensiero mentre era in viaggio con un certo Sebastiano D’Aquila. Si narra anche che, avendo udito piangere una ragazza (Paola La Giglia Stazzone) a cui era caduta di mano una brocca di creta, sfrantumatasi in cocci, egli sia riuscito a risanarla. Allo stesso modo riuscì a risanare una botte nella casa di una benefattrice del convento, salvando il vino e inducendo il marito della donna a cambiar vita per esser stato testimone di un tal prodigio. Inoltre, viene tramandato che egli abbia guarito un moribondo solo per mezzo della preghiera e che abbia addirittura riportato in vita una colomba, donatagli morta da un amico affinché se ne cibasse (e recuperasse energie in seguito ad una malattia che lo aveva debilitato) sebbene vi fosse molto legato poiché era il suo animale da compagnia. Infine, liberò dal maligno la fattoria di un tal Carmelo Falco.
I miracoli accertati dopo la morte, invece, riguardano la guarigione di devoti che pregarono San Felice mettendo una sua immaginetta sacra sulla parte del corpo affetta da tumore. Le prime guarigioni certe avvennero a Palermo (lo scaricatore di porto palermitano Vincenzo Abate) ed Adrano (il frate cappuccino Giuseppe Antonio da Adrano), seguite dalle guarigioni avvenute a Tusa (il sacerdote Giuseppe Turdo).
Sulla sua storia, nel 2015, fu diretto il film “Un santo senza parole”, fruibile online (regia di Tony Gangitano e protagonista l’attore Angelo Maria Sferrazza) di cui vi consiglio caldamente la visione. Qui di seguito un sunto della sua biografia.
Nato con il nome di Filippo Giacomo da una famiglia poverissima, era figlio del calzolaio Filippo Amoroso, morto due settimane prima che lui nascesse. Non avendo nulla da mangiare, in tenera età decise di cercare lavoro ed iniziò a lavorare nella bottega del calzolaio Ciavarelli, soffrendo a causa del linguaggio poco cònsono che egli utilizzava quotidianamente in presenza dei bambini apprendisti come lui. Filippo Giacomo mostrava di essere molto devoto sin da piccolo, ed è celebre l’episodio miracoloso della sua infanzia in cui, con solo l’uso della sua saliva, riuscì a far tornare intatto il pezzo di cuoio di una scarpa che era stato tagliato male da un operaio affranto per l’errore e per l’ira del calzolaio Ciavarelli.
Nonostante la sua immensa devozione ed i suoi ripetuti tentativi, per ben sette anni (probabilmente per temprarne la motivazione) venne rifiutato dai frati cappuccini di Nicosia, che motivarono il loro reiterato rifiuto a causa del suo analfabetismo. Pur non sapendo leggere, egli imparava a memoria, con impegno strenuo ed incrollabile tenacia, tutte le letture edificanti ed i testi biblici che udiva. È nel convento di Mistretta che cambia il suo nome d’origine (Filippo Giacomo) con il nome da frate (fra’ Felice) in onore di San Felice da Cantalice, con cui aveva molti tratti in comune. Finalmente, dopo un anno, riuscì a far ritorno nella sua amata Nicosia, dove si dedicava con inesauribile pazienza ad esortare i ricchi avari e sprezzanti (che lo cacciavano in malo modo) a condividere i loro averi con i più poveri e bisognosi, a cui egli dava conforto spirituale e materiale portando loro ciò che era riuscito a raccogliere, riposto nella sua pesante bisaccia che portava sempre sulle spalle come un “sceccareddu” (asino da soma), come egli definiva sé stesso.
Come abbiamo accennato, era trattato malamente anche dal suo superiore, padre Macario, che lo scherniva dandogli compiti impossibili, costringendolo a vestirsi da pagliaccio e appioppandogli nomignoli a cui San Felice rispondeva pacificamente con la sua celebre espressione ricorrente “Sia per l’amor di Dio!”. La sua devozione era profonda (soprattutto per Gesù crocifisso), pregava molto, digiunava ed infliggeva al suo corpo dolorose punizioni corporali. Fino ad età avanzata, si dedicò alla cura dei malati (sia in corpo che in spirito) ottenendo molte guarigione miracolose. Fu per questa ragione che il superiore dei cappuccini del vicino paese di Cerami gli chiese di recarsi ad assistere i malati di peste nel 1777, quindi già in età avanzata. Il 31 maggio del 1787 morì, ma continua da secoli ad operar miracoli post mortem per i suoi devoti.
Tra le date in cui egli viene commemorato a Nicosia, vi sono: ogni 5 del mese si celebra una santa messa nella sua casa natale in ricordo della sua nascita; il 31 maggio si ricorda il giorno della sua morte con una veglia di preghiera, il 2 giugno si celebra la festa liturgica, mentre l’ultima settimana di agosto la festa cittadina in cui hanno luogo concerti, maestosi fuochi d’artificio, tornei sportivi ed attività ad egli dedicate. Inoltre, ogni estate, in onore di San Felice, molti nicosiani partecipano al pellegrinaggio a cavallo da Tusa a Nicosia (passando per Pettineo, Motta D’Affermo, Mistretta e Rifugio del Nibbio) e a quello a piedi, che si svolge nella prima decade di luglio.
Oltre al territorio nicosiano, la devozione verso San Felice viene mantenuta anche: nel comune toscano di Monsummano Terme (popolato da moltissimi nicosiani), a Rocca di Caprileone (dove si celebra la festa cittadina l’ultima domenica di Agosto), a Gangi e Sperlinga (che a San Felice dedicarono un pellegrinaggio notturno a piedi), a Cerami (in ricordo dell’epidemia del 1777 per cui fu considerata salvifica la sua intercessione), a Giarre (per l’aiuto che diede alla donna che stava morendo di parto in via Gallipoli) e a Mistretta, dove San Felice trascorse il primo anno di noviziato. Qui, nel 1962, accadde un evento tristemente memorabile: il corpo di San Felice (allora non ancora canonizzato e, pertanto, detto beato Felice) da Nicosia era stato portato in pellegrinaggio nella chiesa di San Francesco a Mistretta e, in segno d’affetto, attorno alla cassa di vetro dentro cui giaceva il corpo, i mistrettesi avevano disposto delle candele e dei lumini che rimasero accesi tutta la notte e, malauguratamente, fecero divampare un incendio che bruciò il corpo di San Felice! Le reliquie bruciate furono riportate a Nicosia e oggi sono conservate nel convento dei frati cappuccini di Nicosia, mentre altre reliquie del santo si trovano in cattedrale.
Da sempre, San Felice viene rappresentato con la barba lunga, la sua pesante bisaccia sulla spalla e la corona del rosario in mano. La sua immagine più iconografica è sotto gli occhi di tutti, in via Roma, rappresentata nella statua bronzea scolpita dal Guerrisi nel 1956, il quale fu molto colpito dalla storia di questo frate. Sebbene solitamente le statue si vedano frontalmente, questa statua, vista dalla curva davanti all’entrata di piazza Santa Maria di Gesù, appare di spalle. L’effetto è voluto poiché raffigura San Felice mentre si dirige verso i poveri, in direzione del convento dei frati cappuccini. La sua effigie scolpita si può trovare in vari luoghi, ne sono esempio le opere lignee dello scultore Noé Marullo, conservate nella chiesa di San Francesco a Mistretta e al convento dei frati cappuccini a Nicosia.
Non tutti sanno che, dopo la peste del 1575, patrono di Nicosia sarebbe potuto essere anche il nicosiano San Luca Casali, richiesta avanzata al papa da parte del senato nicosiano in segno di riconoscenza per essere scampati all’epidemia. Egli fu abate del monastero di Agira, incarico che egli inizialmente aveva rifiutato per umiltà, ma che in seguito dovette accettare per ubbidienza verso il papa, intervenuto per esortarlo ad acconsentire. Divenuto cieco, si affidava ai confratelli, che lo accompagnavano negli spostamenti, ma un giorno, in un luogo isolato, gli fu fatto credere di avere di fronte una folla gremita di fedeli, pertanto egli inziò a predicare a quelli che in realtà non erano persone, ma soltanto pietre, che per miracolo risposero alla benedizione con un sonoro “Amen!”, lasciando increduli i monaci, i quali subito si pentirono del misfatto. La sua santità fu lodata così tanto da deporre i suoi resti dopo la morte nella stessa urna di quelli di San Filippo di Agira, grande sacerdote esorcista morto nel 453. Tali resti, nascosti durante le invasioni saracene, furono poi richiesti dai devoti della sua città natale, la nostra Nicosia, ove è conservata una sua reliquia (una costola) nella chiesa di San Michele Arcangelo, nel quartiere natìo del santo.
Siamo, così, giunti al termine dell’analisi del mio poema intitolato “Nicosia, nobile dama”, diviso in otto articoli esplicativi per la sua notevole estensione (poema di sette pagine in rima alternata che ripercorre l’etimologia, la storia, le leggende, il territorio, la gastronomia, l’identità, le tradizioni, usanze ed il culto religioso). Attraverso questi articoli, ho voluto far conoscere Nicosia “a stranieri e passanti” e raccontare delle interessanti curiosità sulla nostra bellissima città anche ai nicosiani stessi, al fine di suscitare, anche nei più giovani, un interesse genuino che sproni alla difesa dei nostri territori e della nostra identità. Spero che la lettura sia stata interessante e piacevole. Grazie per l’attenzione!
©pH.Eugenio Li Volsi ©
Marzia Marassà
'Alla scoperta di Nicosia di Marzia Marassà' has 1 comment
8 Agosto 2021 @ 06:47 Rossana
Meraviglioso articolo! L’ho letto tutto d’un fiato.